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Perché ho scelto questo lavoro….

di Susanna Valleri psicologa

Ieri come tutti i pomeriggi sono andata a trovare mia madre che, come da sua abitudine, stava guardando la televisione. Guardava uno di quei programmi che di culturale non hanno neanche la sigla e che, se possibile, aiutano a creare preconcetti e stereotipi.

Comunque, si parlava del caso di quei due ragazzi che hanno ucciso i genitori di uno di loro.

Al che mia madre mi fa una domanda ….”ma come si fa ad uccidere la propria madre e poi pentirsene come se si potesse tornare indietro?….”
Ancora mi chiede…. “come quel ragazzo che ha tirato l’acido sul viso della fidanzata. Poi arrivate voi psicologi e cosa fate? Loro si pentono e voi li ascoltate? O che cosa andate a fare in carcere?….”

Mia madre ormai ha 76 anni, non è più giovane e certe cose non le può capire . Anche se, pensandoci bene, certe cose sono difficili da spiegare.
È difficile spiegare perché un uomo o un ragazzo commettano certe atrocità, e poi forse una spiegazione non esiste.

Lavoro con gli uomini che agiscono violenza nelle relazioni intime e, spesso, mi trovo a dover spiegare il mio lavoro; il perché l’ho scelto; il perché credo che abbia senso aiutare questi uomini.

In quanto io credo che il cambiamento sia veramente realizzabile, ma mi trovo sempre più spesso a confrontarmi con altri, chiunque: giovani e vecchi, uomini e donne, che non riescono a capire che un cambiamento è possibile e che pensano che l’unica cosa da fare sia rispondere alla violenza con la stessa moneta.

Il lavoro che ho scelto di fare non è di semplice attuazione né tantomeno facile da spiegare, ma se entriamo nell’ottica che la violenza può essere concepita come una modalità comunicativa, allora sembra più facile pensare che abbiamo potere sulla possibilità di cambiare le cose.
Ritengo che potere sia la parola chiave che permette a questi uomini di scegliere quale atteggiamento mettere in essere. Se ho potere sulle mie emozioni ho la possibilità di modularle. La rabbia esiste in ognuno di noi, ma bisogna imparare a gestirla. Se io sono padrone della mie emozione sono capace di capirmi e di confrontarmi con l’altro, chiunque esso sia.

Dopo che per anni ho lavorato con le donne vittime di violenza ho pensato di occuparmi dell’altra metà del cielo e oggi, come operatore CAM, sono felice di questa scelta. Lavorare con questi uomini è complicato, anche perché nella maggior parte dei casi la motivazione che li spinge a venire da noi è riconquistare un amore perduto.

Non è il cambiamento di per sé, per lo meno non lo è sempre. Pochi uomini si rendono conto, inizialmente, che devono cambiare per loro stessi, per acquisire un po’ di rispetto nei propri confronti e perché questo atteggiamento li sta distruggendo dentro.

Fortunatamente il lavoro con il CAM li aiuta a costruire questa nuova identità. All’interno del gruppo sono loro stessi che fungono da specchio per l’altro; è la propria esperienza che fa scattare quella molla per capire che stiamo parlando di violenza, fosse anche psicologica; è più facile riconoscere l’errore dell’altro che il proprio; è più facile capire che se l’altro cambia posso cambiare anche io.

Ascoltare le loro storie è emotivamente devastante. Sono pochi gli uomini maltrattanti che hanno avuto esempi di uomini, padri, positivi. Sono stati vittime loro per primi di violenze e “metodi educativi” rigidi. Hanno avuto madri che non li hanno saputi proteggere, come potevano? Se non hanno saputo proteggere neanche loro stesse.

Come donna prima e come psicologa poi mi rendo conto che spesso le scelte fatte sembrano quasi obbligatorie, come se non ci fosse altra possibilità.

Questo mi aiuta a non odiare questi uomini, a non definirli mostri, a cercare una nuova strada da percorrere insieme. A mettermi davanti a loro senza giudizio né condanna. Certo condanno la violenza, in ogni sua forma, ma la condanno combattendola.
Sono certa che sia possibile un alternativa e che sia possibile gestire la rabbia senza agirla su chi diciamo di amare.

Alcune volte cercare di convincere gli altri di queste mie credenze diventa impossibile. A chi mi chiede perché faccio questo lavoro potrei rispondere che voglio che la mia esistenza abbia un significato, abbia valore. Vorrei lasciare un piccolo segno del mio passaggio. E se aiutare un solo uomo significasse aiutare più donne ne sarà valsa la pena. E poi continuo a pensare che cambiare è possibile, altrimenti non ha senso combattere ogni giorno per i nostri ideali.

Non avrebbe senso avere degli ideali.

Amare è una cosa seria e si deve fare nella maniera giusta. Amare non vuol dire possedere qualcuno, non vuol dire limitare la libertà dell’altro, non vuol dire urlare o usare la violenza per sottomettere l’altro. Amare vuol dire rispettarsi e rispettare la diversità, perché è proprio questa che ci arricchisce. Io posso imparare solo qualcosa che non conosco e che qualcun’altro mi può insegnare, altrimenti sarebbe come guardarsi allo specchio e vedere sempre la stessa immagine riflessa.

Non ho scelto questo lavoro per caso, ne sono convinta. Sono certa che il cambiamento sia una scelta che ognuno di noi ha il diritto e il dovere di fare.

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